16 Feb 2015

Deliverability su misura

L'incubo di tutti gli email-marketer è vedere le proprie, preziosissime, comunicazioni finire in SPAM.

Abbiamo già detto più volte che ogni provider di posta adotta proprie tecniche, per ovvi motivi segrete, per classificare ciò che all'utente interessa e ciò che invece, secondo lui, è pura informazione commerciale non richiesta.

Negli anni abbiamo assistito ad un'evoluzione costante dei filtri antispam: inizialmente il filtraggio era basato su una semplice serie di parole in “blacklist”, ma ben presto i filtri si sono evoluti, prendendo in considerazione l'intero contenuto dell'email e assegnando “pesi” per classificarla.

Il passaggio successivo è stato quello delle grandi blacklist di IP, teoricamente in grado di bloccare all'origine il traffico indesiderato, questo modello è stato poi aggiornato affiancando alle blacklist IP dei sistemi di reputazione degli stessi.

Ad oggi i filtri antispam hanno comportamenti molto complessi, con sistemi reputazionali che lavorano sulle singole componenti dell'email - ip, email mittente, dominio firmatario DKIM, siti linkati, o addirittura numeri di telefono -; il concetto, mutuato dalla filosofia che ha reso famoso e vincente il motore di ricerca di Mountain View, è quello di dare all'utente email rilevanti *per lui*, e scartare invece quello che viene ritenuto puro rumore di fondo, non solo inutile, ma persino dannoso e dispersivo.

L'avvento delle webmail consente agli ISP di avere controllo diretto delle abitudini di lettura degli utenti: non solo, Google, ma anche Yahoo, Hotmail, oppure da noi Libero o Alice, hanno un tracciamento preciso di quel che ogni utente fa con le proprie email.

L'applicazione di filtri, lo spostamento dei messaggi in varie cartelle, la permanenza su una singola email, l'uso di operazioni massive (come ad esempio il segnare tutte le email come lette), sono indicatori precisi del grado di interesse dell'utente per le nostre comunicazioni, e tutti, versomilmente, finiscono nel “paniere” del filtro che si occupa di decidere se esse sono sufficientemente rilevanti per non finire nella casella di SPAM.

Dunque gli strumenti a disposizione dei grandi ISP consentono di avere filtri antispam personalizzati, che reagiscono in base al comportamento del singolo utente, di conseguenza l'affermazione “Google mi mette in spam” può essere il risultato di una deduzione spesso sbagliata.

Questo tipo di filtri “reputazionali” mette fuori gioco i trucchi e costringe a giocare pulito: per essere sicuri che le nostre email continuino ad arrivare nelle caselle dei nostri iscritti dobbiamo seguire alcune semplici regole di buonsenso

  1. Usare liste dotate di regolare consenso e pulite. Gli utenti che ci hanno dato il consenso, probabilmente,  sono interessati alle nostre comunicazioni. Le liste acquistate sono il male, e ne abbiamo già parlato.

  2. Anche il mittente è importantissimo: usate un'email ed un nome riconoscibili e riconducibili al consenso rilasciato. Evitare come la peste indirizzi “noreply@”: per i provider un eventuale scambio di email in seguito ad un invio è forte indizio di interazione e gradimento.

  3. Prestare grande attenzione all'oggetto delle nostre email e al preheader. Quella manciata di parole è l'unico amo a disposizione che abbiamo, una volta raggiunta la casella del nostro iscritto.

  4. Content is the king. Ormai stra-abusato, ma verissimo: una volta che abbiamo convinto l'utente ad aprire l'email, è fondamentale che il contenuto sia interessante e pertinente, oppure che l'offerta sia quella giusta per il nostro utente.

  5. Non a tutti interessano le stesse cose. Suddividete la vostra lista, segmentate opportunamente in base agli interessi, alla distribuzione geografica, alle reazioni alle vostre ultime newsletter. Inviare email anche a chi non è interessato potrebbe influire sulla ricezione da parte di chi, al contrario, potrebbe essere interessato: molto meglio restringere l'audience e non rischiare!

  6. Monitorare costantemente i risultati dei vostri invii; se potete collegate il vostro sistema di invio newsletter agli analytics del sito, in maniera da avere il colpo d'occhio sulle reali conversioni effettuate.

Tenendo a mente questi accorgimenti, non si potrà sbagliare, o se si sbaglia, sarà semplice correggersi in tempo.

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